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sabato 8 giugno 2013

La verità a portata di mano


Sento l'obbligo di premettere una menzione ed un ringraziamento a una persona che ho avuto la fortuna di conoscere circa un anno fa.


    Guiderò Sallanz
 - Docente Canto e Solfeggio - Accademia Musicale Molisana "F. Bongusto"  - Campobasso -

Così ricorda il suo biglietto da visita.
Uomo straordinariamente acuto e probo, aggiungo, che nei miei riguardi è stato prodigo di consigli, generoso, lungimirante ed illuminante.
Questo ricordo di Sallanz (il cui carisma fra musicisti è indiscusso) mi porta direttamente al titolo di questo post. Ma procediamo con ordine.

Io sono il tipo che se decide di dire una cosa non nasconde né omette nulla. Se no, che te la dico a fare? "A verità te a dice chi te vole bbene" (proverbio sannita novecentesco spesso ricordato da un amico ruspante di quelle terre). Troppo giusto. Ed io vi voglio bene e tengo a portata di mano sia il vino che la verità. Perciò, anche se niente mi obbliga a farlo voglio informare chi mi sta leggendo che questa attività intrapresa, questa cosa di scrivere segue un recente periodo in cui ho coltivato il canto, modalità espressiva in cui sono tutt'altro che scarso, senza offesa per colleghi come Jovanotti o Morgan e, detto senza falsa modestia, quasi meglio di Santoro Michele quando canta il suo pezzo più celebre (Uè bella ciao) poi diventato un hit.
Tutto qui? Niente affatto, perchè io sono il tipo che se si mette in testa di fare una cosa non si affida all'istinto ma la fa con metodo, seguendo un percorso. Il dilettantismo approssimativo e presuntuoso non fa per Alonzo. Dunque "coltivare il canto" per me vuol dire prima di tutto avere un maestro di canto da seguire. Io non sono di quelli che si appagano del consenso amichevole degli incompetenti. M'illumino d'immenso io quand'è mattina, mica m'illumino a cantare come un gallo sulla monnezza! questo vuole dirci l'Ungaretti. Perchè non sono indulgente con me stesso. Non mi autocelebro. Non mi accontento. Perciò non mi sono bastate le mie capacità più che discrete nel canto ma ho voluto superarmi costringendomi al più serio impegno.
Questo dissi quando mi presentai a Sallanz e lo informai della mia volontà.
Non avrei potuto fare una scelta migliore.
Nella piccola anticamera dove fui introdotto da una bimba e annusato e sorvegliato con curiosità da uno Zwergpinscher, curiosai fra le decine di ritagli di giornale e foto di cantanti appesi al muro. Fu così che appresi che non solo neomelodici apprezzatissimi come Ciro Vastarella e Tony Coppola ma addirittura quel fenomeno di Giorgia Latuorno, che già allora spopolava su Yutub e su entrambe le sponde dell'Adriatico, erano stati allievi in quella stessa auletta in cui stavo per essere ricevuto dal maestro. Brividi.


Sallanz mi fece una enorme impressione. Non avevo mai conosciuto un insegnante come lui sensibile, paziente, positivo e, cosa che me lo fece preferire, dotato di una eccezionale chiarezza. Parlava poco, lo stretto indispensabile, preferendo l'intesa di sguardi e di gesti (cui mi sarei presto abituato). Come aveva fatto già il suo cagnolino mi annusò e mi accettò, dandomi appuntamento alla Lezione n.1. Questa sarebbe consistita in una mia breve audizione per valutare l'estensione ed il timbro vocale e nell'esposizione del programma di corso.
Andò abbastanza bene. La mia estensione vocale mi ha sempre permesso di passare dagli infrasuoni agli ultrasuoni senza perdermi una frequenza, esercizio che faccio spesso nella vasca da bagno.
A Sallanz non occorse tanto: si limitò a chiedermi di emettere la nota più grave che riuscissi a fare e di tenerla a lungo. Aggrottai le sopracciglia e feci oooooo come un buddista tibetano. Allora mi chiese la più acuta. Puntai il naso in avanti e feci iii... fra gola e adenoidi. Sallanz disse che avevo fatto il falsetto della stessa nota ma non era una mia nota naturale ed infatti ero riuscito a tenerla poco. Ci rimasi un attimo male. Lui se ne accorse e mi assicurò che ci avremmo lavorato. Poi mi illustrò come funzionava il suo metodo. Il corso durava 9 mesi come un normale anno scolastico. Alla fine si era bocciati o promossi. Non esistevano livelli speciali di partenza che davano diritto a un qualche bonus. Per lui erano tutti principianti, anche quelli apparentemente più dotati. Alla fine del corso ognuno sarebbe stato consapevole del proprio valore di cantante. Chi fosse stato promosso al secondo anno avrebbe ricevuto gli insegnamenti su come sviluppare il proprio personale stile. Come a scuola, i bocciati potevano iscriversi come ripetenti e ripartire da principianti. Cazzi loro.
Commentò poi che la mia voce era notevole come volume ma un pò grezza e sentenziò che mi si poteva definire un baritono. Lanciai la sfida: fare 2 anni in 1 come al CEPU. In nove mesi ero sicuro di farcela a passare l'esame da principiante a consapevole e nello stesso tempo fare il corso di stile personale. Disse che ci avremmo provato ma che dipendeva tutto dalla mia disciplina. Avremmo fatto un doppio corso, ogni lezione sarebbe durata due ore anzichè una. Mi accordai dunque per 4 ore settimanali (martedi e venerdi pomeriggio) senza accusare alcun disagio per le trasferte in pullman a Campobasso. Il maestro si faceva pagare 100€ l'ora ma x2 ore consecutive sconto 10%. In nove mesi mancai solo una lezione a causa neve. Sallanz, che per via dell'impegno già fissato con me non aveva accettato un appuntamento pomeridiano con una allieva, ne pretese ugualmente il pagamento. Lo trovai giusto: mi aveva sempre avvertito che per ogni musicista la prima cosa è il tempo. Il suo era preziosissimo.

Io ottimizzavo il mio sfruttando le ore di viaggio per cantare gli esercizi e registrarli con l'mp3 così li riascoltavo per percepire il minimo errore. Ero insoddisfatto fino a che non ero certo di aver superato con scioltezza ogni sbavatura. Volevo essere impeccabile da questo punto di vista in modo che Sallanz potesse dedicarsi principalmente ad individuare lo stile più adatto alla mia musicalità, vista l'inutilità di insistere più di tanto sulla tecnica di base che nel mio caso era una questione marginale. Il maestro tutto sommato sembrava d'accordo, travolto dal mio entusiasmo. Io mi prendevo cura di me e della mia voce: addio alle camel, la gola sempre protetta da una sciarpa di seta, una dieta sana e passeggiate ossigenanti nei boschi, stessa determinazione di Balboa quando fa gli allenamenti in Rocky 1.
Finalmente state cominciando a mettere a fuoco il tipo. Insomma  - usando la definizione che ci regala Spud in Trainspotting -  se ho un difetto quello è la fissazione, la mania per il perfezionismo.
Al CEPU i colleghi di corso mi sfottevano sempre per sta cosa e mi dicevano secchione.
La mia storia con Sallanz mi ha confermato che in qualsiasi campo c'è un unico modo di fare le cose: alla perfezione o non farle proprio. Su questo punto ci eravamo intesi fin dal primo momento, fin dalla prima nota.
Le lezioni proseguivano ed io sentivo la nostra intesa confermarsi. Il mio atteggiamento nei confronti del maestro si decriveva con una semplice parola: devozione. Sublime l'immediatezza con cui, per illustrare magari la peculiarità di una variazione in partitura, egli scioglieva l'animo del musicista, che, liberatosi con naturalezza dei panni dell'insegnante austero, se ne usciva con un virtuosismo di estro scanzonato. Erano attimi emozionanti per me, inseriti dal maestro a bella posta per mostrarmi a quali vette dovevo e potevo ambire. Se era questo il suo intento, con me, come si suol dire, sfondava un culo già aperto. Quando mi osservava con occhi penetranti mentre io cantavo e poi li chiudeva per isolarsi nell'ascolto io coglievo un dissimulato compiacimento. A volte lo sguardo era fisso intensamente verso il soffitto, poi si volgeva lentamente a me. Io cantavo. Devo confessare che ebbi anche la sensazione che si stesse infatuando di me. Tuttora me lo ricordo come un bell'uomo e se penso al suo viso vi associo qualcosa del genere tormentato frocesco di Bogarde in Morte a Venezia.

Qualcosa in me lo turbava e la mia sola voce gli provocava tremiti morbosi, ma forse furono solo mie considerazioni estemporanee sull'anticonformismo d'artista ad attribuire all'attenzione che mi riservava il senso di un invito intimo. Qualche volta il suo viso era scosso come da un godimento trattenuto e il suo capo si muoveva di lato ritmicamente  come se ripetesse la melodia entro di sè. Che dire? ammesso che non fossero advances erano quanto meno sintomi evidenti della sua sorpresa per progressi che evidentemente non si aspettava così rapidi e decisi. D'altronde anche io avevo la consapevolezza dei passi da gigante che facevo, giusto per parafrasare Coltrane.


Un pomeriggio, non so se per scherzo o per sfidarmi, mi propose di testare se avessi o meno l' orecchio assoluto. Io dissi che ero d'accordo, avvertendolo che ciascuno dei miei due orecchi era assoluto. Allora lui disse: perbacco! allora faccia sentire una nota a sua scelta. Io dissi: faccia lei. Lui al piano suonò un accordo arpeggiato (che immediatamente riconobbi come quello all'inizio di Tanta voglia di lei dei Pooh) e mi chiese di fargli il Mi della quarta ottava. Fin troppo facile da indovinare.
Prontamente attaccai: "Miii dispiace -- di svegliarti ..."
Lui alzò appena un sopracciglio, suonò un tasto nero e disse che quello era il Mi che avevo fatto io. Al bacio col mio, infatti. Poi suonò un tasto bianco un po' più a destra del nero che aveva premuto prima e mi chiese di cantare quella nota.
Gli dissi che preferivo riascoltarla. Mii, fu la sua risposta vocale.
Da come l'aveva cantata capii che era partito con quell'altro Mii del pezzo, quello del crescendo, e cosi io mi agganciai  "... dispiace -- devo andareee ---- il mio coo-rpoè là ..."
Seguì qualche secondo di silenzio, poi lui mi disse di chiudere gli occhi, quindi suonò una nota (secondo me leggermente diversa dalle due precedenti). Annotai mentalmente il dettaglio. Stava cercando di mettere in difficoltà almeno l'altro orecchio. Sallanz mi chiese di dirgli che nota aveva suonato. Gli chiesi se potevo aprire gli occhi e quando ebbe acconsentito dissi che ero certo che fosse una nota nera. La mia risposta lo lasciò di pietra. Non riusciva a credere che fossi riuscito a far centro senza farmi distrarre dai suoi trucchetti. Si vedeva che era come spazientito dall'inutilità della prova: non riusciva a fregarmi. Allora suonò un altro tasto, o forse lo stesso, facendo due semibrevi a tempo andante ed a volume appena maggiore e intanto con la voce Miii Miii. Io le rifeci identiche. Lui mi guardò come si osserva un fenomeno raro e fece quattro semiminime a tempo mosso con brio + sustain di pedale. A lungo l'auletta riverberò di quella nota. Quando l'effetto cessò, non mi feci prendere alla sprovvista mi concentrai sul Miii del crescendo dei Pooh e lo riprodussi con voce stentorea ed un vibrato ben portato in quattro copie (ma senza aggiungere "dispiace devo andare il mio corpo è là"). Disse che ero andato oltre ogni aspettativa e che non si era mai divertito così tanto a fare quel test il cui risultato era sconvolgente. Io ringraziai. Lasciò il piano ripetendo sconvolgente... strepitoso... impossibile... all'indirizzo del mio orecchio collaudato e se ne andò a scegliere i brani del nuovo autore da cantare invitandomi col solito cenno ad iniziare gli esercizi di riscaldamento della voce.

Il test sui miei orecchi rappresentò una svolta. Da allora in avanti roba come i salti di terza quinta e ottava, la metrica, la scala minore, il legato e lo staccato, cantare senza farsi distrarre o influenzare dal metronomo e altre curiosità del genere diventarono argomenti che Sallanz si limitava a sottopormi come semplici suggerimenti o al massimo come formalità che venivano sbrigate senza alcuno sforzo da parte mia e senza alcun commento da parte sua. L'ovvietà non ha bisogno di commenti. E' ovvio che qualsiasi ballerino è capace di salire o scendere le scale di corsa e anche due alla volta. E' ovvio che sai contare fino a quattro ma non è che ci devi ripensare in continuazione mentre canti "Munasterio e S. Chiara". Certe volte il maestro appariva strabiliato e nello stesso tempo quasi come contrariato dal mio evidente controllo su ogni emissione vocale. Così dato che non valeva la pena spendere tempo inutile su banalità teoriche, il maestro decise di riservare un'ampia parte del mio tempo-lezione a quella che chiamava ginnastica della voce e che consisteva in una buona mezz'ora di gorgheggi e libere vocalizzazioni che eseguivo mentre lui badava a tranquillizzare il cane. L'esercizio mi conduceva ad un piacevole senso di instupidimento con cui affrontavo la parte di lezione che preferivo e cioè l'esecuzione, con Sallanz al piano, di brani d'autore da lui scelti. Il maestro, per mettere alla prova la mia duttilità vocale, faceva variare notevolmente i generi ed i temi del mio repertorio. Come da programma, dopo l'ora tecnica iniziava l'ora di corso di stile personale.
Per me erano dimostrazioni della mia disinvoltura nel variare una gamma. Non battevo ciglio in nessun cambio di genere, (dal canto gregoriano alla canzone popolare, dalle canzoni napoletane agli inni nazionali, dai canti di lotta ai gospels) e nessun autore mi era ostico, si chiamasse Modugno o Paisiello, Gershwin, Puccini o Elton John. Bastavano una o due lezioni perchè il maestro ritenesse che avevamo "adeguatamente infierito su un compositore" per passare "a massacrarne un altro", come amava dire ironicamente per ricordarmi che ci vuole umiltà e modestia quando si affrontano certi mostri sacri. Quella volta, dopo il test orecchio assoluto, il maestro se ne tornò con un brano denso di insidie tecniche dal titolo "Fra Martino campanaro" ed io capii il messaggio: ero ormai pronto per roba seria. Mi ci vollero effettivamente tre lezioni - se qualcuno si è mai cimentato con questo pezzo sa come sia cazzuto quel passaggio din don dan - prima di imparare a cantare fra Martino come pretendeva il maestro, diventato ancora più esigente da quando aveva certificato la perfezione assoluta delle mie orecchie.

Ma veniamo al dunque. Un venerdì uggioso a Campobasso. Ero alla seconda strofa di una difficile aria popolare romanesca, la "Società dei Magnaccioni" e mancava un quarto d'ora al termine della mia settantaduesima, ultima lezione. Sallanz smise di suonare gli accordi e mi interruppe con un cenno della mano. Io mi tacqui e iniziai a raccogliere la musica nella mia cartellina ma lui mi chiese di sedermi un attimo. Cominciò con il constatare che il traguardo delle 144 ore di lezioni a me dedicate era stato raggiunto, 9 mesi erano passati, il corso era concluso e quello era il momento di fare il punto della situazione con cognizione di causa.
Me ne dichiarai lieto e stetti ad ascoltarlo. Questi i punti salienti del discorso che mi fece, durato poco meno dei 15 minuti mancanti al termine del corso.
Il mio impegno era sempre stato indiscutibilmente esemplare: mi aveva trovato assiduo in maniera così ostinata da suscitare in lui, lezione dopo lezione, uno stupore crescente. Ci tenne a precisare che mi aveva non solo ascoltato, ma anche osservato attentamente ed aveva notato che mentre il proprio stupore per la mia perseveranza aumentava, il mio entusiasmo invece addirittura sconfinava in ottimismo, per ragioni evidentemente a me note ma al suo orecchio totalmente inconcepibili. Avvertii come una contraddizione in quest'ultimo concetto, qualcosa non quadrava. Non ricordo esattamente tutto lo svolgimento del ragionamento ma questa osservazione dello stupore e dell'ottimismo inconcepibile mi lasciò dubbioso finchè non si decise a comunicarmi con chiarezza il responso di tante ore di ascolto.

Al proposito, descrivendo il mio canto, usò espressioni tecniche non so quanto comprensibili per non addetti ai lavori: quelle che mi ricordo furono "aberrazione disturbante" - "ostinatamente squadrato" - "allucinazione spazio-temporale" - "timbro molesto" - "sfregi alla tonalità" - "senso di vertigine" - "intervalli armonicamente sconcertanti" - "alla ricerca imbarazzata dell'attacco" - "dizione pacchiana" - "penoso latrato". Fu forse un pò plateale descrivendo l'aula in cui eravamo come "un luogo ormai sconsacrato alla musica" ed indubbiamente eccessivo parlando di "inquinamento acustico" ma rese l'idea di quello che si era portato dentro per mesi.  Questa analisi puntigliosa fu la premessa al sofferto finale in cui confessò di come allo sconcerto fosse ormai subentrato prima un certo imbarazzo e poi niente altro che la vergogna con cui intascava i denari che io depositavo sul piano a inizio di ogni lezione. Non nascose che aveva considerato l'idea di prolungare il mio addestramento a tempo indeterminato come fanno molti psicanalisti col mutuo da pagare, ma avendo lui una dignità e una casa di proprietà non avrebbe avuto nessuna attenuante se avesse continuato a nascondemi la verità sulle mie prospettive come cantante.
 "Che sarebbero?" mi permisi di chiedere
 "Il suo talento canoro potrà consentirle di raggiungere forse fra una decina di anni un livello pari a quello di un cantante morto di recente. La mia reputazione pretende che un mio allievo ottenga qualcosa di meglio!"
Capii che si riferiva al grande Enzo Jannacci, e azzardai: "meglio di Jannacci?"
"No, meglio del galletto amburghese che tengo nel frigorifero."



Quando vuoi dire la verità a qualcuno, in modo che quello se la ritrovi sempre a portata di mano, usa lo stile Sallanz. Io seppi trarne le debite conseguenze ed eccoci qua.
Mi fermo qui e mi riprometto alla prossima occasione di essere più breve nel tentativo di focalizzare la Vs attenzione su una cosa che oggigiorno sfugge un pò a tutti ma di cui prima o poi saranno in molti a parlare. In questo momento sfugge anche a me ma sono certo che mi tornerà in mente.
alonzo

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