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sabato 15 febbraio 2014

Demografia geopolitica e misfatti al cioccolato.

 
(Mario Boccia, l'agente)


Dati proiettati su una parete


Dall'anagrafe della popolazione residente in Italia.

Maschi 27.900.000 Femmine 29.600.000  Totale 57.500.000
Stima anno prossimo
Maschi 28.500.000 Femmine 29.700.000  Totale 58.200.000

Distribuzione di età
 0-14 anni: 13,6% (maschi  4.150.000/femmine  3.850.000)
15-64 anni: 66,3% (maschi 19.500.000/femmine 19.000.000)
 > 65 anni: 20%   (maschi  4.850.000/femmine  6.850.000)

Tasso di crescita
-0,019%
Tasso di natalità
8,36 nascite/1.000 popolazione
Tasso di mortalità
10,61 morti/1.000 popolazione

Distribuzione del sesso
alla nascita: 1,07 maschi/femmine
sotto 15 anni anni: 1,06 maschi/femmine
15-64 anni: 1,03 maschi/femmine
65 anni ed eccedenza: 0,72 maschi/femmine
popolazione totale: 0,96 maschi/femmine

 

Lette le cifre Mario Boccia iniziò ad esporre il senso di quei dati alle quattro facce accigliate ed impenetrabili che lo avevano fin lì seguito senza mostrare particolare entusiasmo.
Esordì con piglio sbrigativo.
"Non ci vuole molto a notare il dato che balza agli occhi con evidenza. Le femmine sono più numerose degli uomini e non perchè ne nascono di più ma per il semplice motivo che crepano più tardi. I dati e le stime dicono questo, rispettabili signori." Fece una pausa durante la quale allentò il nodo della cravatta e si accese una sigaretta.
"I momenti speciali di un mercato seguono particolari confluenze di ordine non soltanto economico quanto psicologico, e uomini pratici e di mondo come voi capiranno quali circostanze vantaggiose si concentrano a favore dell'affare che stiamo per concludere.
Seguiamo queste signore longeve. Cominciamo a considerarle come le considera il mercato, circoscrivendo l'obbiettivo: le vecchie, quelle che campano a lungo, ci interessano se hanno una certa liquidità, accantonata dal marito defunto di cui si son viste girare pure la pensione, oltre alla liquidazione di un rapporto da schiavo e che così riescono a prolungare la loro esistenza in classe media. Si tratta di una significativa percentuale che aumenta inesorabilmente. 
Generalizzo, ripeto, ma non è affatto remota la probabilità che fra le donne di questa condizione sociale e fascia d'età ce ne sia una che tira avanti a tempo indeterminato, dedita agli psicofarmaci, impedita dai malanni e terrorizzata dalle notizie di cronaca, incarognita dal sospetto di aver vissuto una vita senza senso e la cui emotività viene sufficientemente appagata dalla trasmissione del gioco dei pacchi in TV. 
Una insomma la cui giornata non è molto diversa da quella delle piante del suo appartamento, che come lei, consumano poco. Non bastano le sigarette a fargli gettare inutilmente denaro. Per fortuna, a meno di seri guai polmonari, le vecchie vedove fumano eccome, molto più che in gioventù, ma non basta. Il mercato non rinuncia tanto facilmente ai soldi delle vecchie immortali solo perchè relegate anticipatamente nel sarcofago. Occorre qualcosa che attragga queste mummie verso un ulteriore consumo superfluo. Devono assumere un piacevole vizio."

I quattro ascoltatori continuavano a guardarlo impassibili. Uno di loro si accese un sigaro che costava quanto un buon paio di scarpe.
"Certo - continuò il relatore accentuando il tono di chi sta facendo una concessione - ci stanno pure le vecchie benemerite e pimpanti che se ne vanno in giro razzolando per boutiques parrucchieri e ristoranti, fanno regali ai nipoti, vacanze al mare e vanno pure al corso di mambo. Che possano vivere in eterno! Contribuiscono a far girare l'economia. Anche se per me le migliori restano sempre quelle che depositano i soldi direttamente nelle casse amiche di sisal e lottomatica, di slot machine e gratta e vinci. Purtroppo un gran numero di vedove che hanno battuto con facilità gli ottanta e sfidano il secolo se ne sta a casa e non ha più nessun tipo di rapporto sociale. Devota, cattolica, fisicamente e psicologicamente stanca, molto spesso impasticcata, se ne sta in casa tutta la giornata a guardare la tv o a sonnecchiare.

Queste vecchie il gruzzolo in banca non lo toccano, per fortuna, ma l'ordinaria erosione è un procedimento troppo lento per portarglielo via con i tempi che corrono. Hanno una pensione decente, la casa di proprietà e non spendono più in nessun circuito, se non in quello farmaceutico/alimentare. Qualcosa riescono a fregarselo le opere pie e gli orfanelli sparsi sul pianeta con i loro opuscoli e fottuti bollettini postali. L'unico consumo inarrestabile che riesce a tentare le vecchie, ancor più se fumatrici, sapete qual'è? il Cioccolato. Intendiamoci, stiamo parlando delle vecchie perbeniste della classe media. Le vecchie plebee non hanno mai avuto problemi a trovare consolazione ad una vita vuota grazie ad un cicchetto ogni tanto. La persona golosa di cioccolato non è socialmente riprovevole quanto la vecchia che si sbronza. I produttori di superalcolici stimano una aspettativa di vita media dei loro clienti più affezionati sicuramente più bassa di quella di una persona col debole per i cioccolatini, e pertanto per loro l'ultra ottantenne o novantenne non viene nemmeno considerato come target. Le industrie dolciarie invece possono contare su un mercato duro a morire, come mostra la tabella. Non avete idea della quantità di cioccolata che una donna è capace di sbafarsi a partire dalla menopausa. Il quantitativo consumato aumenta anno per anno e raggiunge valori altissimi che poi si impennano ulteriormente con la vedovanza. Le vecchie golose in realtà amerebbero anche nocciole, torroncini, e amaretti, ma queste cose richiedono una dentatura robusta, mentre il cioccolato si succhia e quindi per le sdentate è l'unico sfizio praticabile."

E non è tutto. Ciò che non tutti sanno è che c'è una strategia di marketing che associa il cioccolato a simbolo di una concessione consolatoria positiva, che non fa male a nessuno e piace a tutti, una trasgressione che merita tolleranza, come i bucchini, che ne puoi fare quanti vuoi sin da bimba e rimanere vergine, come i gay, che lo prendono in culo ma non fanno male a nessuno, che invita alla solidarietà, e che riscalda il cuore di quelli che si fanno chiamare progressisti o democratici. Le donne di sinistra ne sono catturate come dalle coccole e noi maschi dalle zoccole. Le vecchie vedove pensionate e le zitelle poco attraenti di qualunque idea altrettanto. La verità è che la sinistra è riuscita a coniugare l'utilità commerciale con la propaganda politica. Non si dice più buono come il pane. Un vero democratico è buono come un pezzo di cioccolato e se pure esageri a ciucciartelo non ti fa male e puoi goderne anche senza usare i denti. Queste sono ormai le idee che circolano nelle menti malate di cui le vedovazze mummificate rappresentano una parte consolidata."
A questo punto il tono di Boccia da discorsivo confidenziale ritornò ufficiale prima di concludere: "Per questi motivi il controllo esclusivo della produzione di cacao della Costa d'Avorio e del Ghana non mi sembra una contropartita trascurabile."

Vi fu qualche secondo di silenzio. Prese la parola Cosimo Feroce, quello che fumava il sigaro.
"Abbiamo capito: il cioccolato crea dipendenza alle femmine astemie e insoddisfatte come una droga e il suo consumo è sponsorizzato politicamente. Lo sai bene pure tu, Nicò. E non è un mistero che la Signora te lo zuca con molto più gusto se prima te lo ha messo a mollo nella cioccolata càvera."
Il manager valutò queste parole come un modo per dire che la relazione era stata esaustiva e vagliata col dovuto interesse e quindi che ci si poteva mettere d'accordo.

Nicola Schiavone sorrise alla battuta. I fratelli Lanza, Gaetano e Carmine, si scompisciarono. Don Cosimo talmente compiaciuto del proprio umorismo irresistibile, in un accesso di riso e tosse scatarrò e sputò sul prato all'inglese. Si lisciò i baffi. Poi aggiunse, ancora divertito: "Mi piace questo affare, Boccia. Hai fatto bene ad informarci che i comunisti stanno dalla parte nostra. E magari in mezzo a tutte quelle belle idee che alle donne piacciono come i gianduiotti, anche se non lo hai detto, lo so che ci stanno pure Fazio, Bibberò, Lilli Grubèr e addirittura chillu pescemmano e Saviano. Simm' viecchie e ce cacamm sott, perciò visto che di pesce non se ne parla... Filumè pigliame nu poco lo scatolo dei cioccolattini mentre spiramm dint'o tinell, annanz alla televisione. Mi piace. E' un mercato facile. Però cacao e cioccolato non sono la stessa cosa. E chi si fotte i profitti grossi sono quelli che fanno i cioccolattini, mica quelli che si prendono il cacao dai selvaggi."

Mario Boccia scosse il capo poi si avvicinò al tavolo addossato alla parete dove aveva proiettato i dati dal tablet al di sotto della quale, su una cassapanca, c'era un vassoio di cioccolatini. Me prese uno, lo scartocciò e se lo mise in bocca. "Giusto - disse succhiando - ma pure la coca NON è la cocaina come il cemento NON è il calcestruzzo. Anche in questi casi il business rende assai a prodotto finito. Quello che è importante è dominare il mercato della materia prima. Quelli che voi chiamate i selvaggi in realtà sono schiavi. Mano d'opera gratis. Costi inesistenti. Mentre voi invece li pompate a nero e noi ve li facciamo riconoscere legalmente. Detrazioni fiscali. Commercio equo e solidale. Vi accoglieranno come benefattori. Abbiamo in mano uno che fa il missionario in Ghana. Terminale di milioni in beneficienza rastrellati alle vecchie. Valuta riciclabile e benedetta.
I campi di coca non potreste mai averli. Quelli di cacao invece ve li stanno offrendo. Che ve ne fotte se il cioccolato lo fanno gli svizzeri o i francesi o gli olandesi? Qua si parla di monopolio di una materia prima pregiata, esotica."

"Monopolio. Che parolona. Qua io ci vedo una concessione di sfruttamento esclusivo, magari rinnovabile. E nemmeno a tempo indeterminato. L'Africa è lontana, è pericolosa, nun se capiscene e llingue e perciò ti puoi fare capire solo con le mazzate. Ma questo non si deve sapere perchè noi siamo i benefattori. Insomma, per quanto tempo ci puoi stare impegnato? E allora dico, se si tratta di fare beneficienza fatecela fare beneficienza pure in Nigeria e Camerun e siamo in affari. C'è altro da aggiungere?" concluse Don Cosimo. Carmine, il più giovane e crudele dei Lanza prese la parola.  "Gli svizzeri me stanno 'ncopp'o cazzo. Per non parlare dei comunisti e dei ricchioni. Perciò per fargli sto piacere voglio pure un centravanti dal Camerun e n'atu paro e jucature nire." Puntò indice diamantato verso l'alto e gli occhi di catrame sui presenti.
"A skuadra adda saglì!" sentenziò scandendo le parole con tono che non ammetteva repliche. Poi baciò un medaglione d'oro che portava al collo.

Che cazzo significa gli svizzeri ti stanno sul cazzo? e per fortuna che E'Too si è già sistemato al Chelsea... pensò Boccia in un attimo. Restò qualche secondo in silenzio e poi sollevando un sopracciglio con un sospiro promise: "Non sarà una cosa facile facile, ma ci lavorerò".
Secondo le regole al Klan spettava l'ultima parola, per cui dopo aver usato quell'espressione di gergo professionale ma comunque non priva di un messaggio sospensivo, Boccia rimase in silenziosa attesa delle loro conclusioni. Feroce lo guardò,  e poi giovialmente: "Per questo ci stanno quei manager bravi come te quando qualcosa non è proprio facile facile" - strizzò l'occhiolino - "e in fondo non vale la pena farla diventare difficile perchè nun se trova a 'na scigna nera capace di fare gol."
"L'affare mi convince pure a me: 'a ciucculata me piace, e a mia moglie pure." ammise Nicola con una risata.
"Ti sei dimenticato di dire: Soprattutto se è modellata a forma di pesce di centravanti, compà!" ci tenne a precisare solennemente Gaetano 'o Ciuccigno.

A quella insinuazione sui gusti della signora Schiavone risate sonore e minacce scherzose ma orribilmente truculente riecheggiarono sotto al porticato attraverso il quale i boss si avviarono all'interno della villa. L'autista di Don Cosimo riaccompagnò il manager all'aeroporto militare di Grazzanise da dove sarebbe volato in Toscana.

Calciatori africani. Marcianise in serie B. In competizione coi mafiosi russi in quanto a calcio e ferocia. Ma questo poteva anche essere utile. Come se fosse stata il calcio la questione principale. Feroce aveva finto di raccomandarsi per il centravanti proprio per far capire che l'allargamento degli interessi su Nigeria e Camerun era fuori discussione. Nigeria e Camerun (in aggiunta a Ghana e Costa d'Avorio) raddoppiando la posta con la stessa naturalezza come se avesse preteso una piazza di droga o un centro commerciale lungo l'asse mediano. L'Africa lontana e pericolosa dove chi arriva da fuori non si fa capire con la lingua ma con le mazzate, se qualcosa va storta. Giusto, le cose devono andare storte, almeno in una fase del piano, le mazzate ci saranno, puoi giurarci. Altrimenti ci saremmo serviti di una di una di quelle agenzie organizzatrici di eventi very cool e non del Klan.
Quella volpe di Feroce, quei carnefici dei fratelli Lanza e quel degenerato di don Nicolino e la sua consorte, nonché rinomata succhiacazzi ed eminenza grigia, avevano capito che la loro partecipazione all'operazione era di importanza decisiva e che il Klan si sarebbe trovato coinvolto in uno sporco lavoro ben più criminoso e strategico della losca acquisizione di una materia prima e del suo spregiudicato controllo. Solo così si poteva spiegare il loro spudorato rilancio: erano informati che l'operazione era molto grossa, ma non potevano certo immaginare che il piano era quello di creare scenari di scontri manipolati e mediaticamente ben rappresentati, sulla pretesa rivendicazione del diritto di disperati sulle risorse naturali del paese e con il fine ultimo di occupare mezzo continente e trasformarlo in una discarica non di rifiuti ma di titoli tossici prima ed infine di tutta la montagna di carta straccia che ancora per poco sarebbe stato usato col nome di dollaro. No, questo il Klan proprio non poteva saperlo. Vuoi vedere che la cosa più difficile sarà trovare il centravanti? Questo fu l'ultimo pensiero che Boccia memorizzò mentre l'aereo si staccava da terra, poi si assopì.


martedì 11 giugno 2013

Mission impossible

Tre bravi ragazzi.
Oggi pomeriggio con i miei due amici Sasha ed Eusebio, come me attivisti del Vuvvueffe, abbiamo deciso di perlustrare il litorale domizio. Lasciamo la Domitiana e svoltiamo per una strada interna che punta verso il mare. Qui delle puttane nigeriane ci invitano insistentemente con eloquenti gesti ad appartarci con qualcuna di loro. Teniamo duro e proseguiamo. Dopo un centinaio di metri l'asfalto è solo un ricordo e la strada diventa poco più che un sentiero che termina in una piccola radura. Parcheggiamo la Panda del padre di Sasha affianco a un pino su cui sta inchiodato un cartello con dipinta una freccia e una scritta

                                          <=====  spiaggia libera  LIDO ZANZIBAR - bibite fresche

Ci spogliamo, indossiamo i costumi da bagno, lasciamo i vestiti nella macchina e ci incamminiamo fra pini e cespugli nella direzione indicata dalla freccia. Man mano che avanziamo la vegetazione si dirada ed il tappeto di aghi di pino lascia posto ad una sabbia scurissima.
Raggiungiamo la spiaggia dopo pochi minuti di cammino. Il mare è mosso e la poca gente se ne sta sdraiata sotto l'ombrellone o a giocare a racchettoni ma nessuno fa il bagno. Qualche bimbo si diverte a correre sulla riva cercando di non farsi raggiungere dalle lunghe onde.

L'avvistamento.
Siamo lì da un quarto d'ora, quando Eusebio richiama la nostra attenzione verso il mare, non molto al largo, appena oltre il punto in cui le creste delle onde si materializzano prima di rovesciarsi.
Una creatura marina lucida e scura vi nuota a pelo d'acqua, poi si immerge per riemergere poco distante.
Dagli sbuffi d'acqua che emette è evidente che si tratta di un cetaceo. Io propendo per un balenottero, Sasha per un capodoglio. La sua grossa massa riaffiora fra le onde ed avanza spinta dalla corrente verso la riva.
Una volta in gommone ne avevamo visti altri nuotare al largo di Mondragone, sono ormai diventati abbastanza comuni anche da queste parti (buon segno, vuol dire che il mare è pulito) mai visti però così vicini a riva. Emerge e poi si rituffa sollevando alte colonne d'acqua, quindi riemerge e si rituffa ancora un pò più in là. Sembra che stia giocando godendosela un mondo, ma la verità è un'altra: il cetaceo è in grave pericolo. Ha perso il senso dell'orientamento e ignaro si avvicina ad una secca, dove le onde si abbattono e trascinano spumeggiando ogni cosa fino a terra. Se il nostro amico si spiaggia sarà la fine per lui. Dobbiamo intervenire, e subito. Più tardi diremo: "E' stato difficile, ma ce l'abbiamo fatta!" dandoci il cinque sorseggiando il meritato amaro dal sapore vero.
Sappiamo bene che una cosa è manovrare la massa della bestia in acqua, altra è farlo in spiaggia, dove non c'è la spinta di Archimede ad aiutarti. In un video australiano si vedono dei bagnanti che salvano dei cetacei che si sono spiaggiati su Youtube afferrandoli chi per la coda e chi per la testa per poi ributtarli a mare e sospingerli al largo. Dobbiamo mettercela la tutta per impedire che il bestione giunga in spiaggia, se no dobbiamo fare anche la fatica di riportarlo a mare.

L'azione.
Perciò senza esitare ci lanciamo fra le onde sguazzando fra i cavalloni impetuosi. Per un attimo perdiamo di vista il capodoglio quando all'improvviso eccolo, sollevato dalla cresta di un'onda, apparire enorme a pochi metri da noi offrendo la schiena poderosa e il collo massiccio al nostro sguardo.
Mi avvicino e gli dico con tono amichevole qualcosa tipo: tranquillo piccolo, non hai nulla da temere, vogliamo solo darti una mano.
Come se avesse compreso le mie parole si volge a guardarmi con i suoi occhi piccolissimi in quel faccione smisurato. Emette anche un verso e poi fa per tuffarsi nella direzione sbagliata.
Facciamo un tentativo di bloccarlo. Io cerco di placcarlo ma rimedio in viso un colpo fortuito dalla coda dell'animale che si dimena per scapparmi. Il naso mi sanguina. Stessa sorte tocca al labbro superiore di Sasha, colpito dalla fronte arrotondata ma dura della bestia che si divincola mentre lui cerca di afferrarla per le pinne scivolose. Il cetaceo, probabilmente un cucciolo, deve essere terrorizzato. Un altra onda passa su di noi, un vortice ci risucchia sott'acqua verso il largo. Per nuotatori inesperti sarebbe una situazione mooolto complicata ma non è il nostro caso. Sono il primo a riemergere e mi guardo intorno per qualche secondo: nessuno.
Ecco che da destra emerge Sasha strillando. "E' qui, ora lo spingo dove è più profondo!" Prende aria e si getta a capofitto verso la massa nera e lucida della bestia, che riaffiorando appena nuota su un fianco mostrando anche un pezzo di pettorina bianca. Ma allora è un'orca! Sasha se ne accorge a sue spese quando la mano con cui cerca di sospingerla sott'acqua viene morsicata a sangue. 
A questo punto l'unico pensiero è: fuggire verso la spiaggia, fanculo orca assassina bastarda. Per fortuna un'altra onda sta per abbattersi su di noi che non dobbiamo fare altro che lasciarci andare a corpo morto. Riusciamo a planare come tavole da surf poi continuiamo ad avanzare in capriole casuali che ci fanno assumere le posizioni più incontrollate fino ad arenarci come relitti sulla sabbia nera di Castelvolturno. Poco dopo il mare ha la meglio anche sull'animale, depositandolo rotolante tristemente sulla spiaggia, fuori dal suo ambiente naturale.
L'orca continua a rotolare fino alla sabbia asciutta che si attacca al corpo come pan grattato su una cotoletta.

L'equivoco.
Stiamo per avvicinarci circospetti quando con sgomento vediamo una cosa che cambia immediatamente la situazione: la bestia si solleva in posizione eretta e con una pinna si toglie una cuffia nera dal capo liberando una massa di capelli neri e ricci, poi fa qualche passo di corsa fino ad un telo da spiaggia su cui una balena adulta se ne sta sdraiata, accovacciandosi al suo fianco. La balena la abbraccia protettiva, la avvolge in un lenzuolo di spugna con cui la strofina energicamente e con cui poi le soffia il naso. Poi tira fuori da un sacchetto uno sfilatino riempito di polpette e peperoni, che in pochi attimi sparisce nelle fauci del mostro, indifferente al sugo che le cola sul mento e poi sul candido V bianco del suo costume nero da orca.
Solo ora la balena si rivolge a noi emettendo i tipici suoni acuti con cui comunicano questi mammiferi.
"V'aggio vist rint'all'acqua, che ve crerite? a dda fastidje a'nenna mia. Che sfaccimm vulite? Che t'hann'fatt, bell'a mammà soia?" (1)
Eusebio non si accorge che una palla gli spunta dal costume che l'onda ha tentato di portargli via nel ricondurlo a riva, Sasha mugola per il dolore che gli pulsa nel pollice azzannato. Ci avviciniamo traumatizzati in tutti i sensi.
Imbarazzatissimo provo a spiegare il malinteso "Signora ma cosa dice? noi siamo del Vuvvueffe." Poi, rivolgendomi alla bambina intenta a mangiare "Ah, ma sei una femminuccia dunque! lo sai che nuoti proprio benissimo?"
L'orca mi punta in faccia i suoi occhi inespressivi, poi masticando racconta la sua versione.
"Chill m'ha ritt fa a brava piccerè, nun te facc niente, te vulimm ajutà. E aropp m'ha miss e mman 'ncuoll. Chillat ha ritt mò la spinco addò nun tene pere." (2)
Cerco di rassicurarla spiegando l'equivoco.
"Ma no scusaci piccola, ti abbiamo scambiata per un capodoglio, anzi un'orca in difficoltà e ci siamo precipitati a metterti in salvo e..."

La situazione precipita.
Al che la madre mi interrompe con tono minaccioso.
"Nunn aggio capito bbuono, omm'e mmerd! Comm'e ritto? Ca si scagnato a la figlia mia pe nu capocuollo? pe na porca? ma comme te permiette? ma è meglio si ve ne jate e ringraziat'a Maronna ca stongo sola io ca si nce steva maritemo o capocuollo v'o faceva veré isso." (3) E così dicendo mi scaglia uno zoccolo di legno mancandomi di poco.
L'orca assassina decide di rimediare alla lontananza paterna mettendosi a urlare come se la stessero scuoiando viva.
"Papààà paapàààà, addo staje? Austì, Giuà, currit'a ccà!"(4)
Cerchiamo inutilmente di tranquillizzarla. Ci guardiamo intorno. Poco lontano, da un accampamento di baracche di legno scolorito celeste si materializzano delle figure maschili vocianti.
L'orca ci guarda e promette soddisfatta  "Mò veneno babbuccio e i frat miej e v'arapen'o mazz." (5)
Infatti tre sagome enormi si avvicinano a passo svelto. Stiamo per fare la conoscenza col resto della famiglia. Uno dei due figli, identico a un sollevatore di pesi iraniano categoria massimi visto in TV ai giochi olimpici, urla come un assatanato "Che è stato? che è stato mammàààà?"
"Niente, niente, nessun problema" - dico a voce alta con un largo sorriso rassicurante. Non si rassicurano affatto.
La balena, anche se non ce n'è bisogno, dato che babbuccio Agostino e Giovanni sono giunti a pochi metri, si mette ad urlare facendosi sentire da tutta la spiaggia e ci sputtana travisando in modo infame la realtà.
"Vulevano fa e schifezze cu 'Ngiulina miiia! L'hanno chiamata porca e hanno ritto te piace o capocuollo? Guard' a cchillo schifuso (indica Eusebio) ll'jesce ancora 'o pesc a for'a mutanda." (6)
La creatura incalza "E me vulevano pure affucà a mare!" (7)
Eusebio si guarda fra le gambe e si riacconcia in fretta.
Babbuccio lancia un urlo e una imprecazione che fa rabbrividire la madonna che tiene tatuata sul petto. Gli altri due membri del commando si allargano a tenaglia per girarci alle spalle. Le loro intenzioni sono chiare. 
Mai ritirata sarà tanto onorevole quanto questa. Ci sono già bastati i danni fisici che Angelina ci ha inflitto in acqua e non servirebbe a nulla tentare di spiegare o chiedere pietà ai maschi, magari li ecciterebbe ancor di più. Come antilopi puntate da un branco di leoni digiuni ci dividiamo scappando in diverse direzioni. Prego con tutto il cuore che se decidano di inseguirne uno quello non sia io. Fortunatamente sono inseguito solo da minacce di morte e da pesanti invettive contro mia madre. Senza voltarmi nemmeno a guardare cerco scampo nella pineta in cui mi inoltro fino a quando non sento più le urla.

Il meritato amaro...
Sono nascosto da un'ora ai margini della spiaggia, il sole sta per calare e le zanzare mi attaccano, decine di mosconi ronzano intorno ad una cacata. 
Rifletto e arrivo alla conclusione che (d'accordo, abbiamo scambiato una bambina di 150 kg per un balenottero) fare il militante del Vuvvueffe o di Grinpìs è un'impegno che da queste parti non è concepibile, anzi non è proprio benvisto. In un posto più civile avrebbero capito senza problemi il comprensibile abbaglio ed avrebbero comunque apprezzato le nostre ecologiche intenzioni. Magari su nel Mar Baltico o intorno ai laghi del Canada, dove la sensibilità sui temi ambientali è una questione importante, il tutto si sarebbe risolto con una risata e una stretta di mano, ma da queste parti, dove già ti guardano con sospetto se ti metti a raccogliere a gratis la plastica e le cartacce dalle spiagge, figuriamoci se possono avere idea della soddisfazione di salvare la vita ad un gigante del mare.
Di Eusebio e Sasha nessuna traccia. Temo siano stati catturati. Mi incammino a piedi scalzi verso la strada e rifaccio il cammino fino alla Panda scansando siringhe cocci di vetro e cacate e temendo il peggio. Infatti dopo un quarto d'ora li ritrovo, i volti orrendamente tumefatti. Hanno le loro Nike ai piedi: spiegano che tornare in spiaggia a riprenderle dopo che erano riusciti a mettersi salvo è stato  l'errore più tragico di tutta la giornata. Penso che già che c'erano potevano recuperare anche le mie, gli stronzi, ma francamente non me la sento di rimproverarli. Osservano in lacrime l'automobile tutta ammaccata e con i finestrini e i fanali spaccati. Anche su di essa babbuccio, Agostino e Giovanni hanno infierito senza pietà. E' già qualcosa che non l'abbiano data alle fiamme. Speriamo che il babbo di Sasha quando vedrà in che stato è ridotta non si arrabbi altrettanto.

 per chi non comprenda il dialetto casertano
(1)Vi ho visti in acqua, cosa credete? Dare fastidio alla mia piccola. Che cosa mai volete? Che ti hanno fatto, bella di mamma sua? 
(2)Quello mi ha detto fa' la brava piccolina, non ti faccio niente, ti vogliamo aiutare. E poi mi ha messo le mani addosso. Quell'altro ha detto ora la spingo dove non ha piede.
(3)Non ho capito bene, uomo di merda! Come hai detto? Che hai scambiato mia figlia per un capicollo? per una porca? ma come ti permetti? ma è meglio se ve ne andate e ringraziate la Madonna che mi trovo sola perchè se fosse stato presente mio marito il capicollo ve lo avrebbe fatto vedere lui.
(4)Papà, papà, dove sei? Agostino, Giovanni accorrete!
(5)Adesso vengono babbuccio e i miei fratelli e vi aprono il sedere.
(6)Volevano fare le schifezze con la mia Angelina. L'hanno chiamata porca e le hanno detto ti piace il capicollo? Guarda quello schifoso, ha ancora il membro che gli fuoriesce dalle mutande.
(7)e volevano anche annegarmi!

Due parole dell'autore.
Il senso di questo racconto è cercare di aprire gli occhi dei miei lettori più giovani. Quando prendete una posizione cercate di documentarvi bene e di non lasciarvi convincere da ipotesi suggestive. Per esempio, se non distinguete un bond da un buono sconto dell'Ikea non avventuratevi in accese discussioni sui motivi della crisi economica in Europa. Se non sapete distinguere un difensore dei diritti umani da un ministro degli Esteri guerrafondaio, talmente interessato ai diritti umani da dimenticarsi delle vite di esseri umani, non entusiasmatevi quando sentirete parlare di missioni di pace.
Tenete presente che distinguere fra una bambina cicciona in mare e una balena in molti casi è molto, molto più facile che distinguere un celebrato filantropo da un criminale pervertito. 
Inoltre, quando decidete di intraprendere una azione, cercate di mettervi sempre nei panni di chi è oggetto di questa azione, soprattutto quando questa sarà compiuta in un ambiente che non è il vostro e vi porterà a confrontarvi con una cultura diversa dalla vostra. Essere animati dalle migliori intenzioni non è garanzia automatica di esito positivo, mentre invece cedere all'assalto delle mignotte, apparentemente una colpevole debolezza, significa cogliere l'occasione di salvezza che il destino ti sta offrendo.
alonzo
 


sabato 8 giugno 2013

La verità a portata di mano


Sento l'obbligo di premettere una menzione ed un ringraziamento a una persona che ho avuto la fortuna di conoscere circa un anno fa.


    Guiderò Sallanz
 - Docente Canto e Solfeggio - Accademia Musicale Molisana "F. Bongusto"  - Campobasso -

Così ricorda il suo biglietto da visita.
Uomo straordinariamente acuto e probo, aggiungo, che nei miei riguardi è stato prodigo di consigli, generoso, lungimirante ed illuminante.
Questo ricordo di Sallanz (il cui carisma fra musicisti è indiscusso) mi porta direttamente al titolo di questo post. Ma procediamo con ordine.

Io sono il tipo che se decide di dire una cosa non nasconde né omette nulla. Se no, che te la dico a fare? "A verità te a dice chi te vole bbene" (proverbio sannita novecentesco spesso ricordato da un amico ruspante di quelle terre). Troppo giusto. Ed io vi voglio bene e tengo a portata di mano sia il vino che la verità. Perciò, anche se niente mi obbliga a farlo voglio informare chi mi sta leggendo che questa attività intrapresa, questa cosa di scrivere segue un recente periodo in cui ho coltivato il canto, modalità espressiva in cui sono tutt'altro che scarso, senza offesa per colleghi come Jovanotti o Morgan e, detto senza falsa modestia, quasi meglio di Santoro Michele quando canta il suo pezzo più celebre (Uè bella ciao) poi diventato un hit.
Tutto qui? Niente affatto, perchè io sono il tipo che se si mette in testa di fare una cosa non si affida all'istinto ma la fa con metodo, seguendo un percorso. Il dilettantismo approssimativo e presuntuoso non fa per Alonzo. Dunque "coltivare il canto" per me vuol dire prima di tutto avere un maestro di canto da seguire. Io non sono di quelli che si appagano del consenso amichevole degli incompetenti. M'illumino d'immenso io quand'è mattina, mica m'illumino a cantare come un gallo sulla monnezza! questo vuole dirci l'Ungaretti. Perchè non sono indulgente con me stesso. Non mi autocelebro. Non mi accontento. Perciò non mi sono bastate le mie capacità più che discrete nel canto ma ho voluto superarmi costringendomi al più serio impegno.
Questo dissi quando mi presentai a Sallanz e lo informai della mia volontà.
Non avrei potuto fare una scelta migliore.
Nella piccola anticamera dove fui introdotto da una bimba e annusato e sorvegliato con curiosità da uno Zwergpinscher, curiosai fra le decine di ritagli di giornale e foto di cantanti appesi al muro. Fu così che appresi che non solo neomelodici apprezzatissimi come Ciro Vastarella e Tony Coppola ma addirittura quel fenomeno di Giorgia Latuorno, che già allora spopolava su Yutub e su entrambe le sponde dell'Adriatico, erano stati allievi in quella stessa auletta in cui stavo per essere ricevuto dal maestro. Brividi.


Sallanz mi fece una enorme impressione. Non avevo mai conosciuto un insegnante come lui sensibile, paziente, positivo e, cosa che me lo fece preferire, dotato di una eccezionale chiarezza. Parlava poco, lo stretto indispensabile, preferendo l'intesa di sguardi e di gesti (cui mi sarei presto abituato). Come aveva fatto già il suo cagnolino mi annusò e mi accettò, dandomi appuntamento alla Lezione n.1. Questa sarebbe consistita in una mia breve audizione per valutare l'estensione ed il timbro vocale e nell'esposizione del programma di corso.
Andò abbastanza bene. La mia estensione vocale mi ha sempre permesso di passare dagli infrasuoni agli ultrasuoni senza perdermi una frequenza, esercizio che faccio spesso nella vasca da bagno.
A Sallanz non occorse tanto: si limitò a chiedermi di emettere la nota più grave che riuscissi a fare e di tenerla a lungo. Aggrottai le sopracciglia e feci oooooo come un buddista tibetano. Allora mi chiese la più acuta. Puntai il naso in avanti e feci iii... fra gola e adenoidi. Sallanz disse che avevo fatto il falsetto della stessa nota ma non era una mia nota naturale ed infatti ero riuscito a tenerla poco. Ci rimasi un attimo male. Lui se ne accorse e mi assicurò che ci avremmo lavorato. Poi mi illustrò come funzionava il suo metodo. Il corso durava 9 mesi come un normale anno scolastico. Alla fine si era bocciati o promossi. Non esistevano livelli speciali di partenza che davano diritto a un qualche bonus. Per lui erano tutti principianti, anche quelli apparentemente più dotati. Alla fine del corso ognuno sarebbe stato consapevole del proprio valore di cantante. Chi fosse stato promosso al secondo anno avrebbe ricevuto gli insegnamenti su come sviluppare il proprio personale stile. Come a scuola, i bocciati potevano iscriversi come ripetenti e ripartire da principianti. Cazzi loro.
Commentò poi che la mia voce era notevole come volume ma un pò grezza e sentenziò che mi si poteva definire un baritono. Lanciai la sfida: fare 2 anni in 1 come al CEPU. In nove mesi ero sicuro di farcela a passare l'esame da principiante a consapevole e nello stesso tempo fare il corso di stile personale. Disse che ci avremmo provato ma che dipendeva tutto dalla mia disciplina. Avremmo fatto un doppio corso, ogni lezione sarebbe durata due ore anzichè una. Mi accordai dunque per 4 ore settimanali (martedi e venerdi pomeriggio) senza accusare alcun disagio per le trasferte in pullman a Campobasso. Il maestro si faceva pagare 100€ l'ora ma x2 ore consecutive sconto 10%. In nove mesi mancai solo una lezione a causa neve. Sallanz, che per via dell'impegno già fissato con me non aveva accettato un appuntamento pomeridiano con una allieva, ne pretese ugualmente il pagamento. Lo trovai giusto: mi aveva sempre avvertito che per ogni musicista la prima cosa è il tempo. Il suo era preziosissimo.

Io ottimizzavo il mio sfruttando le ore di viaggio per cantare gli esercizi e registrarli con l'mp3 così li riascoltavo per percepire il minimo errore. Ero insoddisfatto fino a che non ero certo di aver superato con scioltezza ogni sbavatura. Volevo essere impeccabile da questo punto di vista in modo che Sallanz potesse dedicarsi principalmente ad individuare lo stile più adatto alla mia musicalità, vista l'inutilità di insistere più di tanto sulla tecnica di base che nel mio caso era una questione marginale. Il maestro tutto sommato sembrava d'accordo, travolto dal mio entusiasmo. Io mi prendevo cura di me e della mia voce: addio alle camel, la gola sempre protetta da una sciarpa di seta, una dieta sana e passeggiate ossigenanti nei boschi, stessa determinazione di Balboa quando fa gli allenamenti in Rocky 1.
Finalmente state cominciando a mettere a fuoco il tipo. Insomma  - usando la definizione che ci regala Spud in Trainspotting -  se ho un difetto quello è la fissazione, la mania per il perfezionismo.
Al CEPU i colleghi di corso mi sfottevano sempre per sta cosa e mi dicevano secchione.
La mia storia con Sallanz mi ha confermato che in qualsiasi campo c'è un unico modo di fare le cose: alla perfezione o non farle proprio. Su questo punto ci eravamo intesi fin dal primo momento, fin dalla prima nota.
Le lezioni proseguivano ed io sentivo la nostra intesa confermarsi. Il mio atteggiamento nei confronti del maestro si decriveva con una semplice parola: devozione. Sublime l'immediatezza con cui, per illustrare magari la peculiarità di una variazione in partitura, egli scioglieva l'animo del musicista, che, liberatosi con naturalezza dei panni dell'insegnante austero, se ne usciva con un virtuosismo di estro scanzonato. Erano attimi emozionanti per me, inseriti dal maestro a bella posta per mostrarmi a quali vette dovevo e potevo ambire. Se era questo il suo intento, con me, come si suol dire, sfondava un culo già aperto. Quando mi osservava con occhi penetranti mentre io cantavo e poi li chiudeva per isolarsi nell'ascolto io coglievo un dissimulato compiacimento. A volte lo sguardo era fisso intensamente verso il soffitto, poi si volgeva lentamente a me. Io cantavo. Devo confessare che ebbi anche la sensazione che si stesse infatuando di me. Tuttora me lo ricordo come un bell'uomo e se penso al suo viso vi associo qualcosa del genere tormentato frocesco di Bogarde in Morte a Venezia.

Qualcosa in me lo turbava e la mia sola voce gli provocava tremiti morbosi, ma forse furono solo mie considerazioni estemporanee sull'anticonformismo d'artista ad attribuire all'attenzione che mi riservava il senso di un invito intimo. Qualche volta il suo viso era scosso come da un godimento trattenuto e il suo capo si muoveva di lato ritmicamente  come se ripetesse la melodia entro di sè. Che dire? ammesso che non fossero advances erano quanto meno sintomi evidenti della sua sorpresa per progressi che evidentemente non si aspettava così rapidi e decisi. D'altronde anche io avevo la consapevolezza dei passi da gigante che facevo, giusto per parafrasare Coltrane.


Un pomeriggio, non so se per scherzo o per sfidarmi, mi propose di testare se avessi o meno l' orecchio assoluto. Io dissi che ero d'accordo, avvertendolo che ciascuno dei miei due orecchi era assoluto. Allora lui disse: perbacco! allora faccia sentire una nota a sua scelta. Io dissi: faccia lei. Lui al piano suonò un accordo arpeggiato (che immediatamente riconobbi come quello all'inizio di Tanta voglia di lei dei Pooh) e mi chiese di fargli il Mi della quarta ottava. Fin troppo facile da indovinare.
Prontamente attaccai: "Miii dispiace -- di svegliarti ..."
Lui alzò appena un sopracciglio, suonò un tasto nero e disse che quello era il Mi che avevo fatto io. Al bacio col mio, infatti. Poi suonò un tasto bianco un po' più a destra del nero che aveva premuto prima e mi chiese di cantare quella nota.
Gli dissi che preferivo riascoltarla. Mii, fu la sua risposta vocale.
Da come l'aveva cantata capii che era partito con quell'altro Mii del pezzo, quello del crescendo, e cosi io mi agganciai  "... dispiace -- devo andareee ---- il mio coo-rpoè là ..."
Seguì qualche secondo di silenzio, poi lui mi disse di chiudere gli occhi, quindi suonò una nota (secondo me leggermente diversa dalle due precedenti). Annotai mentalmente il dettaglio. Stava cercando di mettere in difficoltà almeno l'altro orecchio. Sallanz mi chiese di dirgli che nota aveva suonato. Gli chiesi se potevo aprire gli occhi e quando ebbe acconsentito dissi che ero certo che fosse una nota nera. La mia risposta lo lasciò di pietra. Non riusciva a credere che fossi riuscito a far centro senza farmi distrarre dai suoi trucchetti. Si vedeva che era come spazientito dall'inutilità della prova: non riusciva a fregarmi. Allora suonò un altro tasto, o forse lo stesso, facendo due semibrevi a tempo andante ed a volume appena maggiore e intanto con la voce Miii Miii. Io le rifeci identiche. Lui mi guardò come si osserva un fenomeno raro e fece quattro semiminime a tempo mosso con brio + sustain di pedale. A lungo l'auletta riverberò di quella nota. Quando l'effetto cessò, non mi feci prendere alla sprovvista mi concentrai sul Miii del crescendo dei Pooh e lo riprodussi con voce stentorea ed un vibrato ben portato in quattro copie (ma senza aggiungere "dispiace devo andare il mio corpo è là"). Disse che ero andato oltre ogni aspettativa e che non si era mai divertito così tanto a fare quel test il cui risultato era sconvolgente. Io ringraziai. Lasciò il piano ripetendo sconvolgente... strepitoso... impossibile... all'indirizzo del mio orecchio collaudato e se ne andò a scegliere i brani del nuovo autore da cantare invitandomi col solito cenno ad iniziare gli esercizi di riscaldamento della voce.

Il test sui miei orecchi rappresentò una svolta. Da allora in avanti roba come i salti di terza quinta e ottava, la metrica, la scala minore, il legato e lo staccato, cantare senza farsi distrarre o influenzare dal metronomo e altre curiosità del genere diventarono argomenti che Sallanz si limitava a sottopormi come semplici suggerimenti o al massimo come formalità che venivano sbrigate senza alcuno sforzo da parte mia e senza alcun commento da parte sua. L'ovvietà non ha bisogno di commenti. E' ovvio che qualsiasi ballerino è capace di salire o scendere le scale di corsa e anche due alla volta. E' ovvio che sai contare fino a quattro ma non è che ci devi ripensare in continuazione mentre canti "Munasterio e S. Chiara". Certe volte il maestro appariva strabiliato e nello stesso tempo quasi come contrariato dal mio evidente controllo su ogni emissione vocale. Così dato che non valeva la pena spendere tempo inutile su banalità teoriche, il maestro decise di riservare un'ampia parte del mio tempo-lezione a quella che chiamava ginnastica della voce e che consisteva in una buona mezz'ora di gorgheggi e libere vocalizzazioni che eseguivo mentre lui badava a tranquillizzare il cane. L'esercizio mi conduceva ad un piacevole senso di instupidimento con cui affrontavo la parte di lezione che preferivo e cioè l'esecuzione, con Sallanz al piano, di brani d'autore da lui scelti. Il maestro, per mettere alla prova la mia duttilità vocale, faceva variare notevolmente i generi ed i temi del mio repertorio. Come da programma, dopo l'ora tecnica iniziava l'ora di corso di stile personale.
Per me erano dimostrazioni della mia disinvoltura nel variare una gamma. Non battevo ciglio in nessun cambio di genere, (dal canto gregoriano alla canzone popolare, dalle canzoni napoletane agli inni nazionali, dai canti di lotta ai gospels) e nessun autore mi era ostico, si chiamasse Modugno o Paisiello, Gershwin, Puccini o Elton John. Bastavano una o due lezioni perchè il maestro ritenesse che avevamo "adeguatamente infierito su un compositore" per passare "a massacrarne un altro", come amava dire ironicamente per ricordarmi che ci vuole umiltà e modestia quando si affrontano certi mostri sacri. Quella volta, dopo il test orecchio assoluto, il maestro se ne tornò con un brano denso di insidie tecniche dal titolo "Fra Martino campanaro" ed io capii il messaggio: ero ormai pronto per roba seria. Mi ci vollero effettivamente tre lezioni - se qualcuno si è mai cimentato con questo pezzo sa come sia cazzuto quel passaggio din don dan - prima di imparare a cantare fra Martino come pretendeva il maestro, diventato ancora più esigente da quando aveva certificato la perfezione assoluta delle mie orecchie.

Ma veniamo al dunque. Un venerdì uggioso a Campobasso. Ero alla seconda strofa di una difficile aria popolare romanesca, la "Società dei Magnaccioni" e mancava un quarto d'ora al termine della mia settantaduesima, ultima lezione. Sallanz smise di suonare gli accordi e mi interruppe con un cenno della mano. Io mi tacqui e iniziai a raccogliere la musica nella mia cartellina ma lui mi chiese di sedermi un attimo. Cominciò con il constatare che il traguardo delle 144 ore di lezioni a me dedicate era stato raggiunto, 9 mesi erano passati, il corso era concluso e quello era il momento di fare il punto della situazione con cognizione di causa.
Me ne dichiarai lieto e stetti ad ascoltarlo. Questi i punti salienti del discorso che mi fece, durato poco meno dei 15 minuti mancanti al termine del corso.
Il mio impegno era sempre stato indiscutibilmente esemplare: mi aveva trovato assiduo in maniera così ostinata da suscitare in lui, lezione dopo lezione, uno stupore crescente. Ci tenne a precisare che mi aveva non solo ascoltato, ma anche osservato attentamente ed aveva notato che mentre il proprio stupore per la mia perseveranza aumentava, il mio entusiasmo invece addirittura sconfinava in ottimismo, per ragioni evidentemente a me note ma al suo orecchio totalmente inconcepibili. Avvertii come una contraddizione in quest'ultimo concetto, qualcosa non quadrava. Non ricordo esattamente tutto lo svolgimento del ragionamento ma questa osservazione dello stupore e dell'ottimismo inconcepibile mi lasciò dubbioso finchè non si decise a comunicarmi con chiarezza il responso di tante ore di ascolto.

Al proposito, descrivendo il mio canto, usò espressioni tecniche non so quanto comprensibili per non addetti ai lavori: quelle che mi ricordo furono "aberrazione disturbante" - "ostinatamente squadrato" - "allucinazione spazio-temporale" - "timbro molesto" - "sfregi alla tonalità" - "senso di vertigine" - "intervalli armonicamente sconcertanti" - "alla ricerca imbarazzata dell'attacco" - "dizione pacchiana" - "penoso latrato". Fu forse un pò plateale descrivendo l'aula in cui eravamo come "un luogo ormai sconsacrato alla musica" ed indubbiamente eccessivo parlando di "inquinamento acustico" ma rese l'idea di quello che si era portato dentro per mesi.  Questa analisi puntigliosa fu la premessa al sofferto finale in cui confessò di come allo sconcerto fosse ormai subentrato prima un certo imbarazzo e poi niente altro che la vergogna con cui intascava i denari che io depositavo sul piano a inizio di ogni lezione. Non nascose che aveva considerato l'idea di prolungare il mio addestramento a tempo indeterminato come fanno molti psicanalisti col mutuo da pagare, ma avendo lui una dignità e una casa di proprietà non avrebbe avuto nessuna attenuante se avesse continuato a nascondemi la verità sulle mie prospettive come cantante.
 "Che sarebbero?" mi permisi di chiedere
 "Il suo talento canoro potrà consentirle di raggiungere forse fra una decina di anni un livello pari a quello di un cantante morto di recente. La mia reputazione pretende che un mio allievo ottenga qualcosa di meglio!"
Capii che si riferiva al grande Enzo Jannacci, e azzardai: "meglio di Jannacci?"
"No, meglio del galletto amburghese che tengo nel frigorifero."



venerdì 7 giugno 2013

Presentiamo il mister

Admin informa

Questo è il comunicato ufficiale che il mister mi ha autorizzato a pubblicare.
Mister alonzo (aka alonzo29 presso alcuni circoli ristretti) inizia oggi a scrivere in questo blog.
Alonzo è un membro selezionato della razza umana. Egli è l'ultima versione aggiornata (la 29.0) di una dinastia originatasi in seno ad un unico ceppo etnico, giunta alla ventinovesima generazione scaturita, come le precedenti 28, dall'accoppiamento tra consanguinei nullafacenti e null'altro facenti. Un vero spasso insomma. Se agli amanti del gossip ciò non bastasse, daremo qualche altro particolare:  politicamente si dichiara dislessico-scorretto e non ha mai fatto mistero delle sue simpatie umaniste ed animaliste. Il suo colore preferito, soprattutto nei calzini, è il blu talmente scuro che si può facilmente scambiare per nero. Chi fosse interessato a dettagli più pregnanti, tipo il segno zodiacale o il personaggio del poster in camera sua, dovrà affidarsi al proprio intuito.
A spingere o ad attirare alonzo nella scrittura, impegno più faticoso ma meno remunerativo e garantito dell'onanismo, vi è l'idea che si possa rendere ancor più lieto il proprio tempo disturbando le acque in cui navigano ignoti e ignari lettori.

nota personale di Admin  (npA)

"Leggendo si impara e scrivendo si impara ancora di più, e meglio" non fa che ripetere da un pò di tempo a questa parte mister alonzo.
Ciò che starei imparando ma anche di più e meglio, per ora mi sfugge, dato che in realtà chi legge e scrive e riscrive e rilegge ogni parola in questo blog sono io, semplice amministratore e smanettatore della baracca, in un ruolo non diverso da quello di Peppino alle prese con la letteratura dettata da Totò (alonzo) nella Malafemmina. Ovviamente niente a che vedere con la situazione di un oscuro letterato che trova la sua prima vera opportunità nella stesura penosa di un libro che qualcuno dovrebbe pagare per conoscere la vita e le indiscrezioni di un calciatore analfabeta nei suoi momenti marginali, come fosse lui a raccontarsi. I cosiddetti libri scritti a 4 mani. Mettere per iscritto le storie di Totò (alonzo) perchè qualcuno ne apprezzi la surrealtà è altra cosa che interessare un ebete alla passione di Totò Schillaci per le cozze e per Padre Pio o rendere coinvolgenti per un lettore lo shopping e i gavettoni seriali di Totò Cassano: per fare di un attaccante un fenomeno editoriale basta solo aggiungere spiritose didascalie alle figure ed evitare ogni accenno al congiuntivo. Scrivere per conto del mister è cosa più complessa e assai più gratificante. Una volta per punzecchiarlo a dare una smossa al suo orgoglio (non ammette che riferendosi a lui si usi il termine pigrizia) gli proposi l'esempio dei calciatori scrittori. "Che paragone offensivo - fu il suo commento - loro sono analfabeti - io invece dislessico. Piuttosto passiamo all'acqua pazza: devo dettarti la ricetta del pesce come piace a tua moglie". Quando alonzo è in vena di raccontare dettando - si tratti di una storia o del punto di vista su un argomento - la scrittura scorre veloce ed il tempo quasi si ferma. Devo precisare che se i pezzi di alonzo fossero direttamente scritti da lui otterrebbero una comprensione inferiore a quello ottenuto dal più ostico fra tutti quelli postati in rete da uno qualsiasi dei leader carismatici di PotOp/Autonomia, che io seguo con simpatia (esclusi quelli infiltrati dai servizi, i delatori in tribunale e i venduti al sistema dei media). Ma alonzo tutto questo non lo sa (cit. F. De Gregorio)

Oltre a trascrivere e a rileggere la prosa del nostro seguirò con interesse i commenti degli utenti, ai quali non sarà applicato nessun algoritmo censorio. Questo è un blog letterario e saranno messe diverse fette di carne a cuocere, ci si scambieranno le idee come le figurine e saranno praticati l'inclusione e l'accoglienza, ma non a buon mercato e ad ogni costo. Non si può escludere a priori l'apparizione di piattole, le quali, inconsapevoli della demente improntitudine di cui dispongono, riescono ad appestare oltre le loro migliori intenzioni ogni sorta di blog, anche quelli più di nicchia. Ebbene: qui non riusciranno ad arrivare a tanto. No pasaràn. Abbiamo la presunzione di sapere come regolarci con loro, i comunissimi oggettivamente fottuti idioti: qualche elementare accorgimento neuro-linguistico basterà a tenerli alla larga o ad indurli all'abbandono.
Le uniche eliminazioni fisiche (ban) saranno prese solo in estremi casi. Uno potrebbe essere quello del gay satanista militante che inneggi allo sbudellamento delle gerarchie religiose terrene e prefiguri lo sconvolgimento di quelle celesti, arrogantemente invocate alla devianza sessuale e minuziosamente sberleffate nell'atto di compiere inimmaginabili pratiche contro natura. Non contento il nostro utente vorrebbe farci prendere in considerazione l'idea di dare un tocco di colore con lo scoop fotografico della sodomizzazione patita sugli scalini dell'altare del protomartire da un minorenne riconoscibile. Purtroppo dobbiamo fare i conti con una società che tendenzialmente non è ancora pronta per certe cose e di conseguenza dobbiamo tutelarci dal rischio che, per la regola del silenzio assenzio ed oggettiva responsabilità, ad essere scartavetrato sarebbe in extrema fellatio il culo nostro; per cui non esiteremo a privarci del piacere della compagnia di un tale utente.
Spiegata la netiquette per ora niente altro da parte mia. Perciò vi do appuntamento all'uscita imminente del primo post di alonzo che il sottoscritto, per le ragioni esposte, si limiterà unicamente a trascrivere. Mi auguro che le sue pagine di lotta alla noia possano procurarvi almeno un poco di fastidio
Admin